lunedì 2 febbraio 2015

Cosa offre Taranto ai laureati in economia?

Secondo i dati Almalaurea nel 2013 a Taranto ci sono stati 137 laureati (91 con titolo triennale, e 46 con laurea magistrale). A questi poi vanno aggiunti quelli che conseguono il titolo in altra città e tornano a Taranto dopo aver completato gli studi. Una volta constatato questo dato viene spontaneo domandarsi dove possano essere impiegati 137 laureati in economia nella nostra città: non starò qui a snocciolare dati, ma racconterò le esperienze di varie persone che ho conosciuto durante il mio percorso di studi.
Fondamentalmente i laureati in economia si dividono in due gruppi: quelli che vogliono intraprendere la libera professione (es. commercialisti) e quelli che non vogliono farlo. Questi ultimi potenzialmente potrebbero trovare vari impieghi: banche, istituti finanziari, aziende di vario tipo, enti pubblici, enti di formazione;  peccato che a Taranto ci sia poco o nulla di tutto questo. Le aziende sono davvero poche, quelle che assumono ancora meno e soprattutto non vi è un canale “sicuro” attraverso il quale domanda ed offerta di lavoro si incontrano: la maggior parte degli annunci che si trovano in rete o sui giornali alla fine si rivelano il solito “porta a porta” (che di certo non è un lavoro da disprezzare, ma non è nemmeno corretto pubblicare un annuncio dove viene offerta una determinata mansione per poi rifilarne un’altra). Certo ci si può iscrivere alle numerose agenzie interinali, ma non tutte le aziende ricorrono a questo sistema per la ricerca di personale, alcune non pubblicano le offerte di lavoro nemmeno sul proprio sito internet (sempre se ne hanno uno).
Nella maggior parte dei casi se si ha la fortuna di trovare impiego in un’azienda si tratta di mansioni amministrative/contabilità, gli istituti finanziari offrono quasi sempre contratti a provvigione per la vendita di prodotti finanziari, le banche raramente assumono e comunque quasi sempre non tengono conto dei curriculum dei neolaureati ma trasferiscono giovani (originari di Taranto) che lavorano in altre città (della serie, se vuoi lavorare in banca a Taranto devi farti assumere in qualche altra città e sperare che un giorno ti trasferiscano).

I disoccupati con una laurea in economia in tasca si arrangiano come possono o cercano di inventarsi qualcosa: fanno ripetizioni, cercano di trasformare i loro hobby in una fonte di guadagno (es. fotografia, artigianato), altri sfruttano le conoscenze linguistiche per lavorare come receptionist negli alberghi, qualcuno comincia a pensare ad un’attività in proprio da intraprendere quando ci saranno le possibilità economiche.
Dopo mesi di disoccupazione ci si trova di fronte ad un bivio: andare a lavorare fuori (e questo implica, a meno che non si abbiano soldi da parte, chiedere aiuto ai propri genitori in quanto la maggior parte dei contratti che vengono offerti sono pagati il minimo sindacale che a stento permette di pagarsi una stanza in affitto ed il resto delle spese. Insomma si pensa che con la laurea ed un lavoro si possa raggiungere l’indipendenza dai propri genitori ma non è così) oppure cominciare il praticantato per ottenere l’abilitazione di commercialista o consulente del lavoro.
Che si tratti di una scelta di ripiego oppure il sogno di una vita una cosa è certa: il praticantato costa e sostanzialmente è una forma legalizzata di sfruttamento. Per 18 mesi di praticantato devono essere versarti 350€ (prima erano 500€) all’ordine dei commercialisti, c’è chi invece ha pagato 1200€ all’ordine Consulenti del Lavoro; a questo vanno aggiunti i costi per sostenere l’esame di abilitazione che, da quanto si legge sul sito dell’UNIBA, per gli aspiranti commercialisti ammonta a 200€. La cosa grave è che a questi soldi versati agli ordini da chi fondamentalmente non ha ancora una retribuzione non corrisponde una forma di tutela dei praticanti, ne una qualsiasi forma di supporto durante il periodo di formazione (l’Ordine dei Commercialisti organizza corsi per la preparazione all’esame di Stato, ma vengono pagati a parte!).
Gli aspiranti professionisti, che teoricamente dovrebbero ricevere una formazione dal proprio “Dominus”, nella maggior parte dei casi (per fortuna non tutti) vengono lasciati soli, durante le prime settimane vengono assegnate mansioni semplici ma successivamente il praticante svolge lo stesso lavoro dei soci dello studio, i quali sostanzialmente fanno fruttare i propri guadagni sfruttando i praticanti.
Se venisse corrisposto un giusto compenso, i costi  da sostenere non peserebbero sulle famiglie, ma la realtà è che il praticante percepisce un rimborso spese che oscilla tra il nulla assoluto ed un massimo di 200€. Citando una persona che mi ha raccontato la sua esperienza si può affermare che “Il praticante è messo lì solo per sbrigare lavoro che frutta denaro al Dominus e frustrazione per se stesso”, perché un conto è stare in un posto per brevi periodi di tempo facendo un po’ di esperienza, altra cosa è lavorare a tutti gli effetti per 18 mesi e non percepire nulla.
Ultimamente ho letto dichiarazioni di esponenti del Comune di Taranto circa la soddisfazione per l’apertura dei due nuovi corsi di ingegneria e l’impegno del Comune per far sì che non vengano disattivati altri corsi. Tralasciando la questione sulla “qualità” dei corsi dell’UNIBA su cui andrebbe fatto un discorso serio a parte (alcuni andrebbero potenziati o in alternativa chiusi definitivamente, perché fornire una scarsa formazione è una presa in giro sia per lo studente che per la sua famiglia che paga le tasse universitarie), bisognerebbe anche pensare a delle azioni efficaci per la creazione di nuovi posti di lavoro.
Sicuramente far sì che Taranto diventi una città universitaria capace di attrarre anche molti fuori sede può portare dei benefici anche in ambito economico (gli studenti fuori sede infatti alimentano il mercato degli affitti ed i consumi), però se poi il territorio non offre un minimo di attività lavorative comunque si assiste ad una migrazione di giovani verso altre città. Puntare solo sullo sviluppo dell’Università facendo di Taranto solo un “luogo di passaggio” per studenti  per quanto possa essere un fatto positivo non implica lo sviluppo del territorio, il punto di forza delle grandi città universitarie infatti non è solo la capacità di attrarre studenti fuori sede, ma anche quella di saperli “trattenere” in quei luoghi offrendo delle opportunità di crescita professionale.
Ovviamente questo è un discorso che va applicato in ogni settore: possiamo avere neolaureati di qualsiasi ambito con una formazione eccellente, ma se non si forniscono anche degli strumenti per poter permettere di applicare nella realtà quelle conoscenze, allora saremo destinati a subire la famosa “cultura dell’acciaio” e quindi rinunciare allo sviluppo di alternative economiche.

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