giovedì 8 dicembre 2011

L’orgoglio di fare politica nell’Università (Siderlandia n. 21)

“Voi di LINK fate politica”. Ce lo ripetono sempre, come se fosse un difetto, qualcosa che possa ledere la routine universitaria, qualcosa che si dovrebbe evitare.
La “politica” all’interno delle facoltà tarantine è un tabù, e questo è abbastanza risaputo. Se siete dell’idea che agli studenti bisogna parlare delle riforme e dei provvedimenti che li riguardano da vicino, e nel farlo criticate aspramente determinate scelte, potete stare certi che nel momento in cui vi impegnerete a mettere in pratica questa idea più di qualcuno storcerà il naso; poi poco importa se il provvedimento o la riforma di cui si parla danneggerà (o ha già danneggiato) il “Polo Universitario Jonico”, la cui autonomia oggi è a rischio a causa di quella riforma Gelmini da pochi discussa, e da molti non conosciuta, all’interno delle nostre facoltà.
Bisogna chiarire però, cosa si intende per “politica all’interno dell’università”. Ci sono infatti due accezioni: c’è la politica di partito, quella delle associazioni universitarie che in sostanza sono “il braccio giovanile” dei partiti, si tratta di soggetti che portano all’interno delle università le idee e le proposte degli stessi partiti che hanno votato le leggi che ad oggi hanno smantellato il sistema universitario. Giusto per fare qualche esempio: Azione Universitaria (che era nata come giovanile di AN) oppure la RUN (espressione del PD).
Poi c’è la politica universitaria vera. Quella fatta da chi analizza la situazione attuale, i provvedimenti legislativi e le relative conseguenze in modo oggettivo, senza condizionamenti dovuti all’appartenenza a questo o quel partito politico. Ed è quello che Link Taranto fa da 6 anni a questa parte.
Quando ci siamo scagliati contro la l.133, i tagli sul diritto allo studio e la riforma Gelmini siamo stati aspramente criticati; eravamo visti come i catastrofisti che giudicavano negativamente quei provvedimenti solo perché “fatti da un governo di destra”.
Aihmè il tempo ci ha dato ragione, infatti la situazione del Polo Universitario Jonico dopo l’adozione di quei provvedimenti è palesemente cambiata: ci sono meno corsi di laurea (alcuni sono stati accorpati, con conseguenze abbassamento della qualità dell’offerta formativa), meno borse di studio, più tasse ed una autonomia fortemente ridimensionata (siamo passati infatti da 3 facoltà autonome a un dipartimento economico-giuridico); e questo basta per affermare che tutte le volte che ci siamo mobilitati contro la riforma lo abbiamo fatto con criterio, perché sapevamo che la sede di Taranto – essendo una sede distaccata – sarebbe stata la prima a subirne le conseguenze maggiori.
Fare politica universitaria significa anche rapportarsi con le istituzioni locali per cercare di migliorare la condizione degli studenti universitari; giusto per fare un esempio: ci siamo mossi per cercare di creare delle agevolazioni sul trasporto extraurbano dove l’ADISU non riesce per mancanza di fondi, abbiamo chiesto la creazione di una serie di servizi per fare di Taranto una città universitaria (biblioteche aperte fino a tarda sera, piste ciclabili, migliori collegamenti dei bus urbani).
Non ci pare che, in tutto questo, ci sia qualcosa di negativo o dannoso, piuttosto ci chiediamo quanto serva ridurre l’università ad un mero luogo dove si frequentano le lezioni e si sostengono gli esami.
Spesso gli studenti non comprendono l’utilità di ciò che studiano, alcuni esami sono considerati “inutili”, si percepisce una sorta di distacco con la realtà che ci circonda pensando che determinati argomenti non abbiano un riscontro nella vita di tutti i giorni.
Oggi si parla molto di crisi economica, manovre finanziare, spread; perché allora ad esempio non si creano incontri all’interno della facoltà di economia per analizzare le cause della crisi, le misure adottate dal governo per arginarla con annessi dibattiti sull’efficacia di queste misure o meno? Oppure si potrebbe discutere di alternative economiche sul nostro territorio per far si che ci sia una scelta diversa rispetto alla grande industria.
Siamo la città più inquinata di Italia, ma nell’università non si discute mai sull’inquinamento e le sue conseguenze, o sui rimedi, sarebbe un modo per permettere ad esempio agli studenti di scienze ambientali di “mettere in pratica” ciò che studiano, attraverso l’analisi di una problematica che riguarda molto da vicino la città in cui vivono.
La risorsa di questo paese siamo noi giovani, perché viviamo sulla nostra pelle le conseguenze della crisi economica, delle scelte sbagliate dei governi; noi siamo quelli che più di chiunque altro possiamo comprendere la situazione attuale e quindi trovare il modo per risolverla.
Questo significa “fare politica”. Il problema è che a causa dell’attuale classe dirigente, corrotta e dedita a perseguire solo i propri interessi, i ragazzi si sono allontanati dalla politica.
Manca un luogo dove i giovani possano confrontarsi su ciò che accade. Le facoltà dovrebbero essere spazio di discussione, dove i ragazzi possono analizzare le criticità che riscontrano ad esempio nella gestione dello stato o dell’economia, sia al livello nazionale che locale, in modo tale che si possa costruire l’alternativa a quel sistema che oggi non funziona più.
Cosa si fa invece nelle nostre facoltà oltre la normale routine costituita dallo svolgimento delle lezioni ed esami? Nulla o quasi. Periodicamente vengono organizzati convegni che sostanzialmente riprendono temi già ampiamente trattati nelle normali lezioni, senza portare nessun valore aggiunto allo studente.
Noi, nel nostro piccolo, abbiamo sempre cercato di portare temi importanti all’interno delle facoltà, attraverso iniziative che vanno dall’organizzazione di seminari ad assemblee. Il nostro intento è sempre stato quello di creare dibattiti su varie tematiche per smuovere le coscienze, fare in modo che i ragazzi cominciassero ad interessarsi a ciò che accade (in primis nell’ambito universitario, siamo stati gli unici a fare informazione sulla riforma Gelmini) e discutere sulle possibili alternative.
Spesso prendiamo delle posizioni su questioni che non sono prettamente accademiche, perché riteniamo importante l’informazione e la discussione sui temi che ci riguardano più da vicino, dall’inquinamento della nostra città alla precarietà lavorativa, perché sono problemi che si ripercuotono sul nostro futuro e riteniamo di avere il diritto e dovere di essere in prima linea per risolverli.
Purtroppo questo nostro modo di agire non sempre è stato condiviso, a volte anche ostacolato. Le altre associazioni universitarie ci accusano di prendere determinate posizioni su certe tematiche (es. riforma Gelmini) perché “siamo di sinistra”, in realtà se avessero speso pochi minuti del loro tempo nel leggere i nostri comunicati o la nostra AltraRiforma avrebbero capito che tutto ciò che facciamo nasce da una analisi oggettiva della situazione e che la nostre proposte consistono in azioni concrete che mirano a migliorare la condizione degli studenti tarantini.
Veniamo criticati soprattutto perché ci occupiamo di questioni che vanno oltre l’ambito accademico. A queste critiche rispondiamo che se oggi viviamo determinate situazioni di disagio è anche colpa di chi vive nell’indifferenza, se siamo noi i primi a non curarci di ciò che ci circonda ci sarà sempre qualcuno che utilizzerà il proprio potere per i propri interessi, lasciando noi nella condizione di dover pagare per le scelte sbagliate della classe dirigente.
E’ per questi motivi che abbiamo sempre cercato di portare la politica all’interno dell’università, perché riteniamo sia importante far si che i ragazzi comincino ad essere i protagonisti del loro futuro, e possono farlo solo se discutono e si confrontano, cercando di costruire l’alternativa ai governi che fanno solo gli interessi dei soliti noti.

domenica 19 giugno 2011

TUTTI IN PIEDI (L’ITALIA MIGLIORE)







L’informazione in Italia non è libera, soprattutto in televisione, e questo è risaputo.
I giornalisti, i conduttori, la satira … sono tutti soggetti a restrizioni non scritte ma tacitamente osservate perché, in caso contrario, si comincia con la solita litania del “questo è il servizio pubblico, non si può usare il servizio pubblico per dire queste cose” – di mediaset è inutile parlarne, per ovvie ragioni –; però non si capisce perché Vespa che fa una puntata intera sul delitto di Avetrana (credo fosse quello, o comunque si trattava di Yara o Melania) la sera della vittoria del referendum è una cosa normale, oppure utilizzare un telegiornale che non racconta le notizie o dice mezze verità e addirittura afferma che il referendum è il 13 e 14 giugno (invece che 12 e 13) si accetta senza nessun tipo di clamore.
Son cose che succedono.
Invece se Santoro si permette di invitare nella sua trasmissione gente che diversamente non avrebbe modo di parlare è fazioso. Si perché chiunque vada contro la linea di governo è fazioso, non importa ciò che dice, come argomenta, se da delle motivazioni convincenti, se in fondo ha ragione. E’ fazioso. Punto.
Partiamo da un presupposto. Secondo me la neutralità non esiste, o se c’è è molto rara. E’ difficile trovare il conduttore che non abbia le proprie simpatie politiche, o un suo modo di vedere le cose che si rifletta nella sua trasmissione. Ovvio sarebbe auspicabile una situazione in cui un programma raccontasse le cose per quello che sono lasciando al telespettatore la possibilità di farsi una propria opinione, ma in mancanza di questo ci vuole una soluzione.
La soluzione è l’equilibrio. Se esiste Vespa deve esistere Santoro, e viceversa. Se esiste quello che va contro il governo ci deve stare quello che invece ne è a favore. In questo modo la gente può farsi un’opinione. E’ messa nelle condizioni di capire chi dice il vero e chi no.
Lo strano caso italiano è che invece deve esistere Vespa, ma non deve esistere Santoro. Lo hanno ostacolato in tutti i modi: tribunali, critiche, non rinnovo dei contratti ecc .. ma lui è rimasto sempre li, perché credeva che il servizio pubblico andasse difeso dalle pretese dei partiti e perché voleva dare una possibilità a tutte quelle persone che diversamente non avrebbero potuto far sentire la propria voce e gridare all’Italia intera che loro esistono, hanno un problema e nessuno riesce a risolverglielo. Si voleva raccontare l’Italia che non funziona ma che pochi conoscono perché, in fondo, “bisogna essere ottimisti” e “i problemi sono stati risolti” (cit.) … se poi i napoletani sono ancora sommersi dalla spazzatura, l’Aquila è stata abbandonata al suo destino di città fantasma sotterrata dalle macerie e i piccoli imprenditori sono sommersi dai debiti per mancanza di politiche economiche decenti bhè .. problemi loro.
Questa situazione diventa più lampante quando una sera ti ritrovi a vedere un programma in streaming che si chiama “Tutti in Piedi”. I 100 anni di FIOM, un evento per raccontare il lavoro, il precariato, uno spazio dove tutti parlano senza freni. Ti rendi conto che se una cosa del genere fosse andata in tv (specialmente in RAI), probabilmente oggi sarebbero partite già una trentina di denunce, polemiche e minacce di sospendere il programma.
Ed è proprio questo il problema. Negli altri paesi i programmi tv hanno il diritto di dire tutto, come e quando vogliono, la satira prende in giro i politici ogni giorno … non ci sono ripercussioni di nessun tipo, ed è così che dovrebbe essere.
“Tutti in Piedi” mi ha tenuta incollata al monitor del pc fino alla fine. Per la prima volta dopo tanto tempo ho guardato con gusto un programma, ho visto delle persone vere che parlavano di cose vere, ho visto persone incazzate che lottano per cambiare le cose, ho visto la libertà di esprimersi che in tv non c’è mai stata.
Ho visto l’Italia migliore.
Ed è un peccato che non si possa vedere liberamente in tv, ma sia relegata solo allo streaming sul web.


domenica 3 aprile 2011

"ACCOGLIENZA" all'Italiana

Manduria: "Centro di accoglienza" Fonte: http://www.flickr.com/photos/paride81/5571664538/




L’altro giorno a “Le Iene” ho visto un servizio che mi ha lasciata letteralmente senza parole.

Un inviato ha, di fatto, percorso tutto il tragitto che fanno migliaia e migliaia di magrebini per scappare dall’Africa e arrivare in Europa.
In sostanza vengono stipati come una mandria di mucche su un furgoncino (scoperto) circa 100 – 120 persone, in uno spazio che ne può contenere circa la metà se non meno, quindi uno sull’altro. Queste persone percorrono 2500 KM (si, avete letto bene, duemilacinquecento chilometri) nel Sahara, dove trascorrono anche la notte (quindi subiscono un’escursione termica allucinante). Durante il tragitto sotto il sole cocente si mettono sotto alcune coperte per ripararsi dalla sabbia. E il rischio di rimanere in mezzo al nulla per un guasto al motore è altissimo.
Lo fanno perché non ne possono più della fame, della guerra. Hanno solo un sogno, quello di approdare nel “democratico” mondo occidentale, dove le persone hanno una casa ed un lavoro, e possono condurre un’esistenza dignitosa . Ovvio, non è così, i poveri ci sono anche qui. Però i magrebini che ne sanno? Loro vogliono solo andar via, e affrontano tutto questo perché ormai non hanno più nulla da perdere.

Dopo il viaggio si imbarcano, passano giorni in mare, alcuni muoiono, altre barche affondano .. i più fortunati approdano qui.
Arrivati in Italia possono chiedere asilo, dichiararsi rifugiati, e in quel caso sono portati nei centri dedicati. I più fortunati riescono ad avere un permesso di soggiorno. Se invece non vengono identificati subito, sono trasferiti nei CIE, dove sostanzialmente sono trattenuti in vista dell’espulsione definitiva (diciamo che è una specie di prigione). Se scappano, sono classificati come clandestini e quindi se vengono presi, poi vengono rimpatriati.

Questo meccanismo è venuto meno in questi giorni, a causa della grande ondata migratoria. Lampedusa scoppia, non si riescono a gestire tutti gli immigrati, si deve trasferirli altrove.

Il Governo Italiano questa ondata se l’aspettava, lo dichiarò Maroni in tv, però invece di prepararsi al peggio, hanno deciso di lasciar correre.
Ed è qui, che arriva la genialata del governo Italiano. Invece di trasferire questi disperati in posti dignitosi sparsi per l’Italia, zitti zitti, senza avvisare nessuno, fanno una tendopoli stile dopo-terremoto dell’Aquila (quelle tanto confortevoli, che è come “starci in vacanza”, ricordate?), a Manduria. Poco importa se si incazzano tutti, dal sindaco di Manduria (PDL – che tra l’altro si è dimesso) al governatore della Puglia. Gli enti locali servono solo come capro espiatorio quando c’è bisogno di dare la colpa a qualcuno, per il resto non vengono minimamente considerati. La cosa proprio geniale è che, ad oggi, quel campo, non ha una connotazione giuridica. Cioè, non si tratta di un CIE (Centro di identificazione ed espulsione), ne di altri tipi di centri di accoglienza, però se le persone scappano di li perdono la possibilità di chiedere asilo e vengono classificati come clandestini. Insomma, le solite cose all’italiana. Si parlava di massimo 1500 persone, invece sono molte di più.

La paura dei manduriani è anche comprensibile. Del resto tra quella gente disperata potrebbero esserci anche criminali, è inutile che ci prendiamo in giro, non sono tutti santi gli immigrati. Ed era compito dello stato rassicurare i manduriani e fare in modo da non dar ragione ai cittadini di avere paura.

Ed invece? A Manduria si fa la caccia all’immigrato, con la complicità della polizia che “si attiene alle disposizioni”. In questo video http://www.youtube.com/watch?v=RMxzN-WB_0E si vede un furgoncino bianco (che sicuramente non è adibito al trasporto delle persone perché non ha finestrini) che entra nel campo per riportare dei tunisini che erano fuggiti. La polizia non ci trova nulla di strano, anzi, fa cenno ad un componente della “ronda” che possono continuare a fare quello che stanno facendo basta che non usano le maniere forti. La polizia, che dovrebbe garantire la sicurezza, fa scappare i tunisini come se niente fosse e poi li fa riportare dalle ronde, come se tutto questo fosse normale.

E nel campo? Come si vive?

Non c’è cibo a sufficienza, idem per bagni e docce. Nessuno spiega agli immigrati come fare per chiedere asilo, non vengono ascoltati. Noi, che abbiamo avuto la “fortuna” di nascere nella parte fortunata del mondo, che abbiamo la democrazia e non abbiamo la guerra o la povertà che c’è in Africa, noi che abbiamo la presunzione di poter insegnare la democrazia agli altri, noi, proprio noi, li stiamo trattando come  animali.
Noi, che quando andiamo all'estero e troviamo la polvere sulla scrivania della stanza d'albergo dove alloggiamo quando torniamo in Italia ne facciamo un caso di stato, non stiamo garantendo i diritti fondamentali ad un gruppo di essere umani.

Allora scappano, chi non lo farebbe? Voi rimarreste li, in quelle condizioni? Vogliono andare in Francia, Belgio .. a ricongiungersi con i loro parenti .. o semplicemente perché hanno capito la situazione italiana e vogliono scappare. Il problema è che, scappando dal campo, anche se arrivano al confine la Francia li respinge, perché sono classificati come “clandestini” che, badate bene, non è sinonimo di “criminale”, semplicemente significa che non hanno permesso di soggiorno. Punto.
In realtà un modo ci sarebbe per farli andare in Francia o in genere in Europa. Come scritto in un articolo del Fatto Quotidiano «il governo dovrebbe fare un decreto d’urgenza sulla linea di quello che fece nel1991 durante la crisi albanese. “L’esecutivo può e deve emanare una legge di protezione temporanea”, dice l’avvocato che sottolinea come la normativa non solo sia contemplata dalle disposizioni europee (articolo 78 del Trattato di Lisbona), ma soprattutto sia esplicitamente prevista anche dal Testo unico sull’immigrazione. “L’articolo 20 recita che in presenza di guerre, catastrofi o altri eventi di particolare gravità – sottolinea Guarino – ai migranti è consentito temporaneamente di stare in Italia e di girare nell’area Schengen”. »

Non si adotta questa soluzione perché la LEGA storcerebbe il naso e mister B. non può permettersi di perdere l’appoggio di Bossi.

Conclusione?

Hanno già cominciato a farsi pubblicità, dicendo che la situazione sarà risolta al più presto, che ci saranno 100 rimpatri al giorno, che tengono sotto controlla la situazione. Intanto dal campo continuano a fuggire (per fortuna), in mare vengono dispersi barconi dove muoiono persone, nel campo ci sono condizioni che violano i diritti umani. Ma state tranquilli, anche se vengono violati diritti umani da noi non arriveranno mai le bombe, tanto petrolio non ne abbiamo. Al massimo l’UE ci fa pagare una piccola multa e poi amici come prima.

giovedì 3 febbraio 2011

IL GORNO DELLA MEMORIA ... CORTA.


« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»
 
(Legge 20 luglio 2000, n. 211 - Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.)

Questo è un esempio, ma in realtà di giorni della memoria ce ne sono molti. Il 25 aprile si ricorda la Resistenza contro il nazifascismo, il 2 giugno si ricorda la nascita della Repubblica Italiana. Quest’anno si ricordano i 150 anni dell’unità d’Italia, hanno istituito addirittura il 17 Marzo come festa nazionle.

Quante date, quante cose da ricordare!

Eppure, secondo me, tutte queste ricorrenze non hanno più senso … hanno perso la loro funzione, ormai sono solo degli eventi  mondani, dei giorni in cui politici e simili fanno i loro bei discorsetti o giorni in cui non si va a lavoro. Punto.

Secondo me ricordare l’olocausto o la Resistenza non serve solamente per commemorare la memoria delle persone che sono morte ingiustamente oppure hanno combattuto per la libertà di questo paese, serve per insegnare determinati valori che si sono affermati nella storia, serve a non ripetere più gli stessi errori.

Lo trovo un po’ un controsenso commemorare gli Ebrei morti per le gesta pazzoidi di un dittatore e poi permettere, ad esempio, ad esponenti del governo di dire che si deve sparare sugli immigrati o che i musulmani sono tutti terroristi. Ciò che portò all’olocausto è stata proprio la discriminazione verso  un popolo, e oggi non si trae insegnamento da quello che ci fu in passato. Si ragiona solo per stereotipi, i gay sono considerati malati, tutti gli immigrati sono considerati criminali … si giudica la gente ancor prima di conoscerla associando le persone ad un determinato “status”, e in relazione a quello status si decide se si tratta di qualcuno che merita di essere considerato o condannato. Si parte col pregiudizio. 

Allora è vero che la storia non ci ha insegnato niente.

Che senso ha festeggiare la festa della Repubblica, o l’unità d’Italia, mentre si permette di governare ad un partito come la Lega che non fa altro che criticare la “Roma ladrona” e sogna per creare la c.d. “Padania”? Come si fa a festeggiare l’unità di un paese se c’è una minoranza che il paese lo vuole dividere?

Che senso ha festeggiare il 25 aprile, ricordare la “Resistenza” che ha contribuito a liberare l’Italia da un dittatore se poi alla fine ci facciamo passare sopra qualsiasi cosa, qualsiasi scandalo o semplicemente lasciamo al governo tizi che fanno solo i loro interessi?

Ma l’avete visto il popolo egiziano? In massa sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni di qualcuno che non li rappresenta, e non hanno intenzione di smettere fino a quando ciò che chiedono non verrà fatto. Gli egiziani di oggi stanno facendo quello che fecero i partigiani in Italia, stanno cercando di liberare il proprio paese .. perché hanno capito che lamentarsi e basta senza agire non serve a nulla.

Ecco, i “giorni delle memoria”, tutte queste ricorrenze, dovrebbero essere utilizzare per insegnare i valori affermati durante il passato, dovrebbero insegnare a non commettere più gli stessi errori … perché dei giorni commemorativi fini a se stessi non ce ne facciamo nulla.
Non basta ricordare il prigioniero di guerra o il deportato di Auschwitz, bisogna fare in modo che ciò che hanno passato quelle persone non accada più; non basta ricordare i partigiani morti per salvare l’Italia, bisogna adoperarsi per far si che l’Italia rimanga il paese che loro hanno salvato, togliendolo dalle mani di chi lo “governa” per il proprio tornaconto. Altrimenti sarebbe uno schiaffo alla loro memoria.

Insomma  è come fare il regalo alla mamma alla festa della mamma, e poi trattarla male tutto il resto dei 364 giorni .. un controsenso.

Ecco .. tutto questo mi è venuto in mente mentre sentivo alla tv alcuni discorsi fatti da personaggi dalla dubbia moralità il 27 gennaio.