lunedì 28 novembre 2016

Alternanza scuola-lavoro: opportunità di formazione o regalo alle imprese?

Qualche settimana fa il MIUR ha siglato un accordo con il colosso del fast food “McDonald’s” nell’ambito della c.d. “alternanza scuola-lavoro” (istituita con la legge 107/2015, meglio conosciuta come “Buona Scuola”). Si tratta di un percorso formativo (concordato con la Scuola) all’interno di un’azienda della durata di 200 ore per i licei, 400 per gli istituti tecnici.
Questa notizia ha riacceso il dibattito su questo tema: da un lato, viene vista come una misura necessaria per evitare la dispersione scolastica ed aumentare l’occupazione; dall’altro, c’è il timore che le aziende possano sfruttare la cosa solo per avere manodopera a costo zero (a cosa serve assumere personale se c’è un ricambio di tirocinanti?).
Per capire come funziona l’alternanza scuola-lavoro voluta dal Ministro Giannini, basta leggere la guida operativa pubblicata sul sito del MIUR: l’obiettivo è quello di fornire una formazione “pratica” coerente col percorso di studi degli studenti.
Vengono create delle apposite convenzioni tra scuola-azienda, nelle quali sono descritte le condizioni dell’alternanza scuola-lavoro: attività da svolgere, norme e le regole da osservare, gli obblighi assicurativi ecc. Ogni studente fa riferimento a due tutor: quello interno (un docente della scuola) e uno esterno (scelto all’interno dell’azienda); in linea di massima, il primo si occupa di delineare il percorso dello studente, monitorare l’andamento del tirocinio ed informarne gli organi competenti (il consiglio di classe, o il comitato scientifico). Il secondo affianca lo studente nelle attività all’interno dell’azienda (che può essere svolta anche durante la sospensione delle attività didattiche).
Alla fine dell’esperienza in azienda c’è una valutazione e il conseguente rilascio di una certificazione (è necessaria la frequenza di almeno tre quarti del monte ore previsto dal progetto) che viene indicata nel curriculum dello studente (inserito nel “Portale Unico della Scuola”[1]).
L’alternanza scuola-lavoro ha valore ai fini della valutazione dello studente durante lo scrutinio finale che dà accesso all’esame di Stato e, quindi, anche sull’attribuzione dei crediti scolastici.
I sostenitori dell’alternanza scuola-lavoro affermano che nel resto d’Europa questa è presente da decenni e che le aziende spesso assumono i ragazzi che hanno svolto il tirocinio, come ad esempio in Germania. Purtroppo però non si tiene conto del fatto che la Germania ha un sistema scolastico completamente diverso dal nostro e soprattutto non ha i nostri problemi legati al mercato del lavoro.
Innanzitutto va detto che Italia e Germania hanno due concezioni diverse di scuola: per noi è il mezzo principale per diffondere la cultura, acquisire gli strumenti per capire il mondo che ci circonda e prendere decisioni. In Germania la scuola è concepita quasi esclusivamente per formare ragazzi in un determinato lavoro.
Questa differenza si nota già confrontando le tipologie di scuole ed i relativi titoli rilasciati.
Noi abbiamo istituti tecnici o licei, che formalmente rilasciano un titolo di studio abbastanza simile (tutte le tipologie di diploma danno accesso all’università). In Germania  invece ci sono tre tipi di scuole: Hauptschule – Realschule – Gymnasium (equivalenti alle nostre scuole superiori) molto diverse tra loro: le prime due sono concepite esclusivamente per una formazione professionale in un dato settore, mentre l’ultima è l’unica che fornisce un bagaglio culturale teorico più approfondito e che consente l’accesso a qualsiasi università dopo il diploma.
La Hauptschule è una tipologia di scuola che fornisce la qualifica di “operaio specializzato”, “lavorante artigiano” oppure “assistente commerciale”. In tutto dura cinque anni: dopo i primi due (in età di 14/15 anni) si consegue una qualifica che dà accesso ai  tre anni dedicati all’apprendistato (la frequenza a scuola è di due giorni a settimana, mentre i restanti giorni si lavora in azienda e vi è anche una piccola retribuzione).
La Realschule dura sei anni e, rispetto alla prima, fornisce una formazione teorica più articolata; dopo il diploma (in età di 15/16 anni) si accede alla Fachoberschule, una scuola professionale a tempo pieno della durata di due anni (ce ne sono diversi tipi, ognuna specializzata in un settore, ad es: tecnologia, economia e dell’amministrazione, scienze dell’alimentazione, scienze sociali ecc..). Anche qui gli studenti alternano ore in aule ed ore in azienda (il primo anno si lavora 4 giorni a settimana, il secondo è dedicato principalmente alle lezioni teoriche); alla fine del biennio gli studenti ottengono il certificato “Fachhochschulreife” che li qualifica per l’accesso alla “Fachhochschule” (Istituto universitario che offre un insegnamento orientato all’applicazione pratica, in particolare nei settori dell’ingegneria, dell’impresa, dell’amministrazione, dei servizi sociali e della moda).
Il Gymnasium dura otto/nove anni (a seconda dei Land); equivale ai nostri licei, il diploma da accesso a qualsiasi facoltà universitaria.[2]
La differenza è evidente: in Germania i neodiplomati hanno alle spalle un’esperienza lavorativa considerevole, che permette loro di acquisire una qualifica spendibile immediatamente nel mondo del lavoro (magari proprio all’interno delle aziende dove hanno svolto l’apprendistato); in Italia invece abbiamo imposto dei tirocini che non sempre hanno un senso: che tirocinio possono svolgere ad esempio gli studenti di un liceo classico? Difficile trovare delle aziende/enti dove poter applicare le conoscenze di letteratura latina o greca, ma le 200 ore di alternanza scuola-lavoro sono obbligatorie, e quindi escono fuori tirocini fantasiosi in raffinerie, come è successo a Cagliari, oppure corsi di psicologia per gli studenti del liceo scientifico.
Viene poi da chiedersi quale valore aggiunto possa dare l’alternanza scuola-lavoro dentro un ristorante McDonald’s dove gli studenti, citando le dichiarazioni dell’azienda, svolgeranno “attività di accoglienza e relazione con il pubblico”… Cioè? Accompagneranno le persone al tavolo? Aiuteranno nella decisione del piatto da ordinare? Cercheranno di calmare un cliente arrabbiato per un hamburger poco cotto o la mancanza di ketchup e patatine? Per questo tipo di lavoro esiste già una scuola apposita, l’istituto alberghiero, dove si impara a lavorare in un ristorante attraverso stage (retribuiti) in importanti catene di alberghi/ristoranti dove sicuramente si apprende davvero un mestiere.
I tirocini possono avere un senso dove c’è davvero un collegamento tra scuola ed azienda: se, per esempio, voglio diventare un perito elettrotecnico e svolgo l’alternanza scuola-lavoro all’interno di un’azienda che si occupa di impianti elettrici industriali, allora sicuramente posso imparare qualcosa di utile. Ma, come detto prima, noi non siamo la Germania: la maggior parte degli imprenditori italiani per assumere chiede determinate qualifiche (derivanti da corsi di formazione post diploma/post laurea) oppure esperienza pregressa; da noi non c’è quella mentalità secondo la quale un’azienda decide di formare una persona pensando che, in futuro, quella stessa persona lavorerà seguendo i principi e le metodologie dell’azienda, portando quindi un valore aggiunto.
In Italia le aziende non hanno voglia di insegnare, perché credono che quello sia un compito esclusivamente spettante alla scuola, quindi cosa succede se si hanno a disposizione ragazzi gratis da poter utilizzare come si vuole? Semplice: li si utilizza per attività noiose, magari nemmeno attinenti a ciò che studiano. Queste non sono mere supposizioni: basta considerare quello che accade con i tirocini di Garanzia Giovani: persone che lavorano sei mesi (a spese delle Regioni) all’interno di aziende che nella maggior parte dei casi non li assumono e soprattutto non li formano sul serio.
Quindi, in sintesi, in Germania i ragazzi svolgono un vero e proprio apprendistato (anche retribuito) durante il periodo scolastico che permette di imparare un mestiere. In Italia invece abbiamo un’alternanza scuola-lavoro gratuita che non insegna quasi nulla – tant’è che, dopo il diploma, ci si troverà comunque a dover fare corsi, stage semi-gratuiti, lavorare un periodo a nero per poi riuscire a trovare un impiego pagato con i voucher.
Non dico che è sbagliato far conoscere il lavoro agli studenti delle scuole superiori; il problema è che qui parliamo di un’alternanza scuola-lavoro che, per come è strutturata, non può garantire un’esperienza davvero formativa. Un sistema del genere può funzionare solo quando, da un lato, c’è una scuola che crea dei percorsi formativi in azienda coerenti con il piano di studi degli studenti e, dall’altro, ci sono imprese che hanno voglia di insegnare (e non sfruttare). Sono condizioni che il Ministro dell’Istruzione non può garantire; questo tipo di alternanza scuola-lavoro può insegnare solo una cosa: lo sfruttamento legalizzato all’interno di un’azienda (giusto per far capire subito ai ragazzi cosa c’è dopo la scuola).
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[1] È un portale dove vengono pubblicati tutti i dati relativi al sistema di istruzione: bilanci delle scuole, Anagrafe dell’edilizia, Piani dell’offerta formativa, dati dell’Osservatorio tecnologico, Cv degli insegnanti, incarichi di docenza ed anche i Cv degli studenti (da dove si possono consultare informazioni come il percorso degli studi, le competenze acquisite, eventuali scelte degli insegnamenti opzionali, esperienze formative in alternanza scuola-lavoro)
[2] Portale Ufficio scolastico Regionale per L’Emilia – Romagna http://istruzioneer.it/ – PDF
 Portale Eurydice Italia http://eurydice.indire.it/  PDF

Articolo per Siderlandia.it

lunedì 15 febbraio 2016

Garanzia Giovani: la trappola burocratica che alimenta il precariato

«La Garanzia Giovani (Youth Guarantee) è il Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile». Sulsito ufficiale viene presentato in questo modo il programma Garanzia Giovani, il cui obiettivo è quello di inserire nel mercato del lavoro i giovani che non studiano e non lavorano.
Sostanzialmente il funzionamento del progetto è il seguente: con i fondi stanziati dall’UE viene data la possibilità alle imprese di poter reclutare dei tirocinanti che vengono pagati direttamente dell’INPS (450€ lordi al mese per un tirocinio di 30 ore settimanali della durata di 6 mesi);  il costo per l’impresa quindi si riduce a poche centinaia di Euro per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Le aziende possono anche usufruire  del c.d. “accompagnamento al lavoro”: uno sgravio fiscale se assumono il candidato a tempo indeterminato (in Puglia, a differenza di altre regioni, questa agevolazione non viene riconosciuta per i contratti a termine).
I fondi vengono utilizzati anche per attività come formazione, presa in carico, orientamento (svolte dalle ATS[1]) servizio civile regionale e nazionale, sostegno all’auto-impiego e all’auto-imprenditorialità.
Vista in questo modo, si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a delle opportunità. La realtà purtroppo è ben diversa e si materializza già dal momento in cui si fa l’adesione al programma.
Il primo passo è l’adesione online: entro 60 giorni (teoricamente) si viene convocati dal Centro Per l’Impiego, il quale prima organizza un incontro informativo per verificare che i candidati abbiano i requisiti per usufruire delle misure previste dal programma, e poi (dopo aver fissato un appuntamento) convoca il candidato per firmare il patto di servizio.
A Taranto già in questa fase preliminare iniziano i primi problemi: il Centro per l’Impiego è notoriamente a corto di personale, quindi molti ragazzi che aderiscono al programma vengono convocati dopo i 60 giorni previsti (io personalmente ho firmato il patto di servizio dopo 120 giorni dall’adesione, e tanti sono nella mia stessa situazione).
Il secondo passo è la scelta dell’ATS: capita spesso che, nonostante i candidati scelgano regolarmente l’ATS dal portale dedicato, ci siano dei problemi di natura tecnica; e qui comincia l’odissea, perché per risolvere la questione può passare anche un mese.
Se tutto viene risolto, si arriva al terzo step: l’assunzione da parte dell’azienda o l’attivazione del tirocinio. Nel secondo caso i problemi sono di natura economica: il rimborso spese viene erogato direttamente dall’INPS con notevole ritardo. Ci sono molti ragazzi che hanno avuto il rimborso dopo la fine del tirocinio; ad altri era stato detto che sarebbero stati pagati ogni due mesi ma, a tirocinio quasi ultimato, non hanno visto ancora un Euro. Va aggiunto poi che molti ragazzi ci stanno rimettendo perché devono sostenere le spese di trasporto per raggiungere le aziende dove svolgono il tirocinio.
Per capire la situazione basta vedere l’ultimo elenco delle indennità pubblicato sul sito della Regione: ci sono tirocinanti che hanno cominciato ad agosto e stanno ricevendo le prime due mensilità a gennaio.
Qui le colpe sono della Regione Puglia: alle regioni infatti vengono assegnati i fondi, i quali poi vengono distribuiti per le varie misure previste. Il ruolo di coordinamento che la Regione Puglia dovrebbe avere a quanto pare ha numerosi problemi. Sulla questione dei pagamenti l’assessore al Diritto allo Studio, alla Formazione e al Lavoro della Regione Puglia, Sebastiano Leo, con un comunicato del 12 novembre 2015, ha dichiarato che i ritardi dipendono da «l’enorme numero di richieste unitamente alla complessità della valutazione delle pratiche, spesso incomplete e da integrare». Quindi sostanzialmente si tratta di un intoppo burocratico: siamo nel 2016 e per attivare un semplice tirocinio dobbiamo ancora produrre un sacco di documenti e passare per vari enti, quindi per un foglio compilato male o mancante una persona si ritrova a lavorare senza ricevere il rimborso spese. Come è possibile che i tirocini vengano attivati se le pratiche sono “incomplete e da integrare”? Invece di fare un controllo ex post sarebbe più logico verificare la documentazione prima dell’inizio del tirocinio. Non si poteva pensare ad un procedimento più snello considerando che abbiamo a disposizioni PC e connessioni internet?
Un altro scandalo è il fatto che i Centri per l’Impiego non vengano supportati come dovrebbero. Posso dire per esperienza personale che quello di Taranto è lasciato letteralmente all’abbandono. Durante la mia profilazione c’è stato un problema di comunicazione dei miei dati al Ministero; sono stata più volte al CPI e tutti gli operatori di Garanzia Giovani con cui ho parlato hanno provato a risolvere la questione (tengo a precisare che in questa situazione ho avuto sempre a che fare con persone competenti, disponibilissime e gentilissime: cosa che non accade spesso negli enti pubblici). Purtroppo però si trattava di un errore tecnico del portale. In questi casi ci vorrebbe l’intervento diretto dell’Ufficio competente; il problema è che il CPI (non per sua volontà) non ha un canale diretto con chi risolve queste problematiche, quindi sostanzialmente ci sono volute quasi tre settimane di invii di segnalazioni ed e-mail per sbloccare la situazione (in un sistema efficiente ci dovrebbe essere, almeno per i CPI, un call center da poter contattare per spiegare la situazione in tempo reale e risolvere la questione).
A questo punto viene spontaneo chiedersi come sia possibile che un programma del genere possa davvero essere uno strumento per la lotta alla disoccupazione.
Le aziende avevano già la possibilità di poter attivare i tirocini: in Puglia si può assumere un laureato a 450€ al mese netti (pagati dall’azienda) per 30 ore settimanali senza ulteriori spese (tranne l’INAL), quindi niente contributi da versare, ferie pagate, malattie ecc. Molte imprese approfittano di questo strumento perché, come per Garanzia Giovani, non c’è l’obbligo di assunzione, quindi c’è un ricambio di stagisti ogni sei mesi senza limiti di alcun tipo.
Il problema fondamentale è che ciò che sulla carta risulta come “tirocinio” è un lavoro vero e proprio; nel momento in cui si viene inseriti all’interno di un contesto lavorativo c’è ovviamente un periodo più “formativo”, ma di certo dura molto meno di sei mesi. Sia chiaro, non dico che ogni azienda dopo un colloquio deve assumere il candidato a tempo indeterminato così, sulla fiducia; è giusto che ci sia un periodo di prova per valutare se la persona è davvero in grado di svolgere il proprio lavoro, ma non è normale vedere aziende che reclutano continuamente stagisti senza poi assumere nessuno. E questo non dipende dalla crisi: gli stagisti vengono assunti in continuazione per una questione di convenienza, altrimenti non si spiega perché anche le grandi multinazionali (perfettamente in salute) rimpiazzano stagisti con altri stagisti. Oppure dobbiamo credere che nessuno in questo paese è in grado di lavorare?
Purtroppo Garanzia Giovani non è visto dalle aziende come una opportunità per poter trovare forza lavoro qualificata per la propria impresa, ma solo un modo per avere un lavoratore gratis da poter rimpiazzare con un altro lavoratore gratis dopo sei mesi. Questo si capisce facilmente dai dati: come si può leggere nel 26esimo report di monitoraggio dei 9320 giovani avviati a misura di politica attiva quelli assunti a tempo indeterminato sono 2044.
Combattere la disoccupazione significa creare le condizioni per far si che i giovani possano essere assunti con un contratto “vero” (cioè quello che prevede una idonea retribuzione, il versamento dei contributi ecc..), e questo incide positivamente sull’economia perché, detto in modo molto semplice, se la gente non lavora non ha soldi da spendere, e se nessuno acquista i prodotti/servizi delle imprese queste falliscono (lasciando a loro volta altri lavoratori a casa senza stipendio).
Avevamo davvero bisogno di buttare i fondi dell’UE per creare un sistema pieno di intoppi burocratici che fa tutto tranne garantire la lotta alla disoccupazione? Quei fondi potevano essere utilizzati in modo più intelligente, prevedendo solo gli incentivi fiscali per le assunzioni con contratti “veri”, oppure consentire il finanziamento del tirocinio ma con obbligo di assunzione alla fine dei 6 mesi.
Sarà che sono troppo “choosy” (come asseriva l’ex Ministro Fornero), ma sinceramente io in questo “Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile” vedo pochissime opportunità e tanti modi per aumentare il precariato.
L’opportunità è quella che ti da un’azienda che ti fa svolgere un tirocinio pagato proporzionalmente alle ore lavorate ed al tuo livello di formazione, con accredito puntuale dello stipendio e la possibilità di essere assunti nel momento in cui si dimostra di essere capaci di saper lavorare.
Essere inseriti in un sistema dove è legale farti lavorare per 450€ al mese lordi, e vedere la tua dignità calpestata perché anche se lavori non ricevi mensilmente il tuo stipendio, venendo costretto a chiedere aiuto ai tuoi genitori (ammesso che possano farlo) può essere definito solo in un modo: sfruttamento. Quello che per lo Stato è un semplice “rimborso spese” da accreditare chissà quando, per molti è la sola fonte di reddito a disposizione.
Però, si sa, in tempi di crisi come quello che stiamo vivendo pur di lavorare si fa anche questo.
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[1] Associazione Temporanea di Scopo: si tratta di un insieme di enti (università, scuole, enti di formazione, agenzie per il lavoro) riunite in gruppi (in totale sono 11 ATS), queste hanno la funzione di profilare i candidati e fare da tramite fra loro e le imprese, quindi attivare i tirocini, l’accompagnamento al lavoro, corsi di formazione.

Articolo per Siderlandia.it